28/01/2019 - AUTORE: Andrea De Chiara

Tratto dalla RELAZIONE della Dott.ssa ALESSIA BOTTONE.

Attraverso la conciliazione lavoro-famiglia è possibile ovviare alla scelta tra la carriera lavorativa e la maternità: due aspetti importanti che concorrono alla realizzazione delle donne nella nostra società. Cosa si intende però per conciliazione lavoro-famiglia? Scopriamolo insieme.


"La Conciliazione lavoro-famiglia rappresenta un diritto fondamentale," a ribadirlo è stato anche il Parlamento Europeo nel 2016: per conciliazione si intende riuscire a trovare in Italia (a livello legislativo) un equilibrio tra la vita privata e quella professionale delle donne madri lavoratrici; a causa di questa lacuna è infatti compito del datore del lavoro gestire come meglio crede il tutto. Inoltre è proprio perché le donne sono a rischio gravidanza che, tendenzialmente, le aziende preferiscono assumere gli uomini. È naturale che in una realtà come questa, la carriera lavorativa delle donne in quanto madri di famiglia, viene inevitabilmente compromessa: questo spiega perchè oggigiorno si registra 1,32 figli per famiglia, un dato emerso dalla recente ricerca della scrittrice, giornalista e regista Alessia Bottone su tale argomento. Nonostante la situazione lavorativa precaria delle donne italiane, Verona ha un tasso di occupazione femminile pari al 57% rispetto al numero totale di quelle in cerca di un impiego, residenti nelle altre regioni d’Italia. A tal proposito e al fine di tutelare i diritti delle donne madri in quest'ambito in Veneto, Paola Poli, consigliera delle Pari Opportunità della provincia di Verona, si occupa di monitorare i casi di discriminazione di genere sul lavoro, anche e soprattutto durante la fase di rassegna delle dimissioni da parte delle lavoratrici.

La faccenda delle dimissioni delle lavoratrici rappresenta la punta di un iceberg: tra il 2015 e il 2016 sono infatti aumentate del 43% nel nostro paese; fra le motivazioni più comuni troviamo: l’incompatibilità fra l’occupazione lavorativa full time con gli orari dell’asilo nido, la mancanza di una rete di supporto della lavoratrice madre e, infine, i costi elevati che l’assunzione di una Baby-sitter comporta, portano all' autolicenziamento. Sebbene per le neo-mamme lavoratrici, passare dalla formula full time a quella part time sembri una soluzione più che ragionevole, non è detto che la sua applicazione avvenga in automatico: è sempre a discrezione del datore di lavoro decidere se concederlo o meno; se così non fosse, quest’ultimo non sarebbe perseguibile legalmente perché non esiste alcuna legge che lo obblighi a cambiare le condizioni contrattuali a favore di una sua dipendente. Per questi motivi, la consigliera Paola Poli sostiene che per arginare tale dilemma, sarebbe necessario un intervento normativo nazionale in materia; di parere contrario, Giorgio Gosetti (Professore associato del Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di Verona), ritiene che ridurre le ore di lavoro alle madri dipendenti in realtà consolida una sorta di asimmetria di genere, poiché in questo caso si attuerebbe un taglio del salario; legittimare altresì il ruolo domestico delle lavoratrici in una situazione full time costituirebbe la soluzione definitiva a questo problema.

Un altro aspetto che costituisce uno dei motivi che spingono le lavoratrici neo-mamme a dimettersi, è imputabile alle continue vessazioni psicologiche che, in molti casi, ricevono dal datore di lavoro e/o dai colleghi, per le assenze legate alle esigenze tipiche della maternità protette dalla legge. Prima di prendere la decisione di dimettersi è consigliabile rivolgersi all’Ufficio competente per le Pari Opportunità del luogo di residenza, -  (ce né una per ogni regione d’Italia) per valutare se si è realmente vittime di discriminazione di genere. Riuscire a dimostrare che si sta subendo una discriminazione simile, naturalmente, non è semplice perché le molestie psicologiche sono più sottili di quelle fisiche. Al fine di limitare questo fenomeno, lo scorso novembre 2018 è stato firmato, a livello regionale, un protocollo che comprende anche il tema delle dimissioni volontarie, nel quale è stato esplicitamente richiesto uno sforzo maggiore dell’Ispettorato del Lavoro nel convalidare le dimissioni delle donne in stato interessante.

Dal momento che ogni licenziamento rappresenta una sconfitta, è necessario pensare a un cambiamento radicale nel sistema lavorativo aziendale, che permetta alle madri di essere allo stesso tempo donne in carriera. A questo proposito Elena Traverso, Presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Veneto, propone una soluzione: “sovvenzionare le aziende che aprono, in consorzio con altre aziende, asili aziendali può essere un buon punto di partenza; ne è un esempio l’azienda Marcolin di Longarone in provincia di Belluno la quale, in sinergia con la RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria), ha avviato progetti di conciliazione lavoro-famiglia volti a favorire la flessibilità in entrata e in uscita. È stato utile inoltre l'inserimento nel contesto lavorativo del progetto Maggiordomo, per facilitare la gestione di incombenze quotidiane dei dipendenti e dei loro famigliari”. Sebbene la flessibilità, lo “smart working” e il telelavoro siano uno strumento che consente alla lavoratrice madre di continuare ad esercitare a distanza le proprie mansioni in azienda, il loro utilizzo va ponderato per evitare che queste si isolino. “Sarebbe invece più opportuno creare una forma di lavoro basata sulla condivisione dell'esperienza lavorativa per non perdere il capitale culturale aziendale”, conclude la giornalista Alessia Bottone nel suo scritto.
Andrea De Chiara
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