Mi affligge vedere le sofferenze degli altri, mi son sempre chiesta cosa poter fare per loro, sentita in colpa quando non riuscivo ad aiutare tangibilmente. Questo ha influito sulla scelta del mio percorso di studi, essere utile, a loro disposizione per alleviare, almeno in minima parte, il dolore che li affligge, sia esso fisico o mentale, è sempre stato il mio proposito. 

Ho avuto l'opportunità di incontrare tanti tetraplegici negli anni, ricordo che da bambina sentivo l'esigenza di coinvolgerli, farli sentire parte integrante di una società composta da individui la cui maggioranza di essi evitava di incrociare il loro sguardo, girava la testa dall'altra parte, alcuni per pudore, altri schifati. Non l'ho mai capito, spesso basterebbe un sorriso, un saluto con la mano, una faccia buffa se sono infanti, non devono fare pena o ribrezzo ma essere trattati come tutti gli altri e, nonostante mi sforzi, non comprendo perché sia così difficile per molti.

La domanda che mi angustiava di più era cosa provassero, quanto stessero male, convinta che, se l'avessi saputo, il sostegno sarebbe stato ancora più mirato, ora so che non serve a molto, l'unica risposta è essergli vicino concretamente. 

Avere una paresi sconvolge sempre, inizialmente paralizza anche i pensieri, nel mio caso, soprattutto ora che l'ho sperimentato più volte, è confortante avere la certezza che non è paralisi, che la sensibilità c'è ancora. A quel punto cerco di non agitarmi e mantenere la mente sgombra, di non far intervenire l'orgoglio, in attesa che passi.

È snervante, fino a che non lo provi non comprendi appieno, sembra un luogo comune ma è la verità. Aver visto altre persone, averla studiata, non ti mette al riparo dallo shock e dal panico che arriverà. Le prime volte, soprattutto la prima avuta dal collo in giù, ho iniziato a lacrimare senza controllo, avevo paura sarei rimasta così, ero arrabbiata perché nonostante intimassi agli arti di muoversi loro non collaboravano. Qualsiasi cosa tu voglia fare o di cui tu abbia bisogno devi dipendere dagli altri, che sia anche solo spostare una ciocca di capelli dalla spalla perché ti sta facendo il solletico.

In questa situazione il mio carattere è sia un danno che un bene, danno perché chiedere di portarmi in bagno, di imboccarmi, di grattarmi nei punti in cui le parestesie si stanno divertendo, di girarmi nel letto per me è un affronto, una sconfitta, un bene perché, ora che so cosa mi aspetta, adoro fare battute spesso considerate fuori luogo come "va pure di là, io resto qui, non mi muovo", "non ho voglia di prendermi l'acqua, vai tu per favore", aiutano a stemperare la tensione e a togliermi in parte il mantello dell'impotenza, non potrò usare il corpo ma lo spirito gli ci vorrà più impegno per sconfiggerlo e, se mai ci riuscirà del tutto, non sarà stato senza lottare.

Ora voglio solo godermi il movimento ritrovato, dopo tante ore immobile è meraviglioso poter scrivere, essermi presa da sola uno spuntino, con enorme fatica e dolore ma l'ho fatto, anche questa volta è passata e riassaporo la libertà, è effimera e limitata ma c'è!

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