Come per moltissime malattie rare, anche la sindrome da stanchezza cronica/encefalite mialgica (abbreviata CFS/ME) non ha una diagnosi certa, in quanto la difficoltà che emerge deriva da generici sintomi di una determinata patologia.

Il sintomo principale è una debilitante e constante stanchezza accompagnata da svariati sintomi come disfunzioni cognitive, problemi di concentrazione o di memoria a breve termine, disturbi del sonno, forte malessere dopo attività fisiche o sforzo e anche dolori articolari. L’aspetto debilitante è pertanto l’alternanza di periodi acuti a lievi o, in casi con meno intensità, del tutto assenti e non c'è una ciclicità che consenta di prevedere la comparsa o la sparizione di questi sintomi. In situazioni simili, assume quindi un’importanza fondamentale la possibilità di avere specifici biomarcatori.

E proprio da questi presupposti, è nata una nuova ricerca e un nuovo studio che ha l’intento di individuare eventuali biomarcatori utili per formulare una diagnosi più accurata. Questa recente ricerca italiana è stata pubblicata sulla rivista “Scientific Reports”, che ha indagato il ruolo del microbiota nello sviluppo della CFS/ME. Per il momento, sono state formulate varie ipotesi e quindi la diagnosi avviene per esclusione. In questo momento, non si ha un’unica terapia farmacologica specifica, ma varie opzioni, alcune basate su tentativi e, considerando che ognuno di noi è diverso e reagisce in modo diverso alle terapie, questo complica di molto la situazione. 

Lo studio in questione ha però posto come punto di partenza proprio la possibilità di identificare dei marcatori, o comunque dei possibili test, da aggiungere ai criteri diagnostici attualmente utilizzati sull’ipotesi che alcune alterazioni nella composizione microbica potrebbero essere anche alla base dei meccanismi ezio-patogenici della CFS/ME. E così lo studio si pone l’obiettivo di analizzare, nei pazienti con sindrome da stanchezza cronica, la composizione microbica sia orale che intestinale, per valutare se eventuali cambiamenti potessero essere collegati alla sindrome. Lo studio non è stato solo teorico, ma anche pratico prendendo cioè un determinato numero di persone costituito da due gruppi distinti: 35 parenti sani di pazienti e 35 soggetti, sempre sani, non appartenenti alle famiglie dei pazienti e si è potuto osservare un'alterazione nella composizione del microbiota, sia orale, che intestinale, confermando quindi i risultati di precedenti ricerche: l'ipotesi che un cambiamento nella composizione del microbiota possa essere alla base della CFS/ME.

Tiziana Scotti

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